Discorso dell’incontro con le autorità al Teatro Ricciardi

4 FEBBRAIO 2024
INCONTRO CON LE AUTORITÀ

Buonasera a tutti. Il Signore vi dia pace!
Sono lieto di poter incontrare tutti voi in questo giorno nel quale inizio il mio
ministero di Arcivescovo a Capua e vi sono grato per essere venuti numerosi ad
accogliermi in questa importante Sala della Città, un tempo Teatro Comunale Campano e
oggi Teatro Ricciardi, e ringrazio chi ne ha la proprietà per averla messo a disposizione per l’occasione.
Saluto e ringrazio, in modo particolare, il Sig. Sindaco di Capua, il Dott. Adolfo
Villani, per le parole di benvenuto che ha voluto indirizzare alla mia persona a nome di
tutti gli altri sindaci dei Comuni della Arcidiocesi qui presenti, e con loro saluto S. E. il
Sig. Prefetto, gli onorevoli parlamentari, le altre autorità civili e militari intervenute, e
tutti gli altri rappresentanti delle Istituzioni dello Stato e delle tante realtà che operano al
servizio del nostro territorio. A tutti sinceramente grazie per essere qui!
Grazie anche per quanto fate a servizio della collettività! Nel manifestarvi la mia
stima, confermo a tutti voi l’assicurazione della mia preghiera e, insieme, l’impegno a
offrire, per il bene del nostro popolo, la collaborazione della Chiesa di Capua, come già
di quella di Caserta, da oggi, per volontà di Papa Francesco, unite nella mia persona.
Chi vi parla non è né un politico né un uomo dello Stato, non riveste un ruolo nelle
Istituzioni civili, e neppure ha competenze amministrative o di governo del Paese; sono,
invece, un vescovo della Chiesa cattolica, un successore degli Apostoli, un pastore, cioè,
che ha a cuore l’annuncio del Vangelo e la cura del suo popolo. E proprio in questo ruolo mi rivolgo a voi.
Tanti di voi già mi conoscono, non solo perché da tre anni sono vescovo della vicina
Chiesa di Caserta che, con quella di Capua, condivide la cura dei fedeli di quattro comuni:
Marcianise, Casagiove, Castelmorrone, e la stessa città di Caserta, ma perché sono
anch’io un figlio di questa terra; il mio paese natale è Vitulazio, qui rappresentato dal
signor sindaco, il carissimo Dott. Antonio Scialdone, che saluto e abbraccio.
“Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”: in questa parola
del Vangelo di Giovanni (3,16) c’è la sintesi di tutto il mistero cristiano, il cuore della
nostra fede. Dio ha amato il mondo; il mondo sta a indicare la nostra umanità, le donne e
gli uomini di ieri, di oggi e di domani, a prescindere dal popolo o dalla nazione di
appartenenza, a prescindere dalla loro lingua e dalla loro religione. Dio ama l’uomo;
questa umanità è amata da Dio! L’ama così tanto da essere arrivato a dare il Suo Figlio:
in questo verbo – dare – c’è tutto il mistero, dell’Incarnazione e della passione, morte e
resurrezione del Figlio di Dio, il Signore Gesù.

La missione della Chiesa sta tutta nel portare questo annuncio! Ma annunciare il
Vangelo non è privo di conseguenze. Confessare, infatti, che Dio ha tanto amato il mondo
da dare il suo Figlio unigenito, significa affermare che l’uomo ha una dignità infinita, che
ogni persona è un bene, e che, al di là delle scelte, buone o cattive che egli compie, la sua
vita va custodita e promossa, sempre, dal momento del suo concepimento fino alla sua
fine naturale. Per questo la Chiesa s’interessa dell’uomo, di ogni uomo e di tutto l’uomo,
e si adopera per la promozione del suo sviluppo integrale (cfr. Paolo VI, Populorum progressio, 14).
Per questo – ci ricorda il proemio della Gaudium et Spes – “le gioie e le speranze, le
tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che
soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo,
e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”.
Afferma papa Francesco: “Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista
– implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di
lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra”. Perciò noi “amiamo
questo magnifico pianeta dove Dio ci ha posto, e amiamo l’umanità che lo abita, con tutti
i suoi drammi e le sue stanchezze, con i suoi aneliti e le sue speranze, con i suoi valori e
le sue fragilità. La terra è la nostra casa comune e tutti siamo fratelli” (Evangelii gaudium, 183).
In questo spirito, che chiede che tutti i cristiani e, prim’ancora, i loro pastori, si
preoccupino della costruzione di un mondo migliore, s’inseriscono, questa sera, le mie
parole – un contributo, umile e rispettoso – che, in qualità di nuovo vescovo della Chiesa
di Capua, sento il dovere di offrire alle sue Istituzioni e a quanti, a vario titolo, si
adoperano per il bene comune.
Siamo in un momento della storia mondiale davvero delicato e complesso, nel quale,
dopo l’emergenza sanitaria e la crisi economica e sociale ad essa seguite, viviamo un’ora
particolarmente difficile in cui l’umanità si trova a fare nuovamente i conti, in più punti
del Pianeta, con gli orrori della guerra “viaggio senza meta, sconfitta senza vincitori, follia senza scuse”.
Nel ribadire con papa Francesco il nostro “no”, fermo, deciso, convinto, alla guerra
e a ogni guerra, sentiamo che questa è un’ora nella quale dobbiamo stare maggiormente
vicini alla nostra gente, un’ora in cui alimentare la speranza; un momento nel quale tutti
gli uomini e le donne di buona volontà, in maniera ancora più forte, devono mostrarsi
uniti nella costruzione della pace, sapendo che essa sarà possibile soltanto difendendo la
dignità della persona e promuovendo i diritti di ognuno, a cominciare dai più poveri e
fragili. La pace, infatti, come ci ha detto il Concilio e più volte ha ribadito il Magistero
dei papi, non si esaurisce nell’assenza della guerra.
A quest’opera tutti possiamo e dobbiamo partecipare! Tutti possiamo e dobbiamo
diventare parte attiva per avviare e generare nuovi processi e trasformazioni e porre le
basi per costruire un mondo più giusto, più fraterno e solidale, adoperandoci per sanare
ferite e superare forme di egoismo che generano povertà ed esclusione sociale, le quali a
loro volta alimentano la cultura del conflitto e della divisione.
È chiaro, però, che ciò spetta innanzitutto a quanti svolgono una funzione pubblica,
quanti rappresentano lo Stato e, come politici, sono al servizio del Paese. Per tale cosa,
c’è bisogno – dice papa Francesco – di una migliore politica, una politica che sappia porsi
“al servizio del vero bene comune. Purtroppo, invece, la politica oggi spesso assume
forme che ostacolano il cammino verso un mondo diverso” (FT, 154).

Per questo motivo essa, definita dai papi, a incominciare dal Pio XI, come la “forma
più alta di carità”, per molti del nostro tempo è diventata “una brutta parola, e non si può
ignorare che dietro questo fatto ci sono spesso gli errori, la corruzione, l’inefficienza di alcuni politici” (FT, 176).
Abbiamo, invece, bisogno di un’altra politica che – è sempre il Papa che parla -sappia
“respingere il cattivo uso del potere, la corruzione, la mancanza di rispetto delle leggi e
l’inefficienza”; “una sana politica” che, invece, sappia proporre buone pratiche, che
permettano di “superare pressioni e inerzie viziose” (cfr. FT, 177) e che, soprattutto,
rinunciando a particolarismi sterili e contrapposizioni inutili, sappia educare all’arte del
“noi” e suscitare una nuova partecipazione sociale.
La mancanza di speranza e di fiducia da parte di tanti in un futuro migliore, il
disinteresse nelle decisioni che riguardano la vita del Paese e delle nostre città, la
disaffezione nell’ambito della riflessione politica che arriva anche a forme di forte
astensionismo elettorale, sono, infatti, tra i primi mali che è necessario debellare e che, di
certo, persistendo, costituiranno un grosso ostacolo allo sviluppo dei nostri territori e non
permetteranno alla nostra provincia e, più in generale, al nostro Mezzogiorno, di sperare in un domani migliore.
C’è bisogno, invece, di una più forte coscienza civile e di un più intensa
partecipazione alla vita del Paese, soprattutto in questo momento in cui il nostro Sud, che
tanto ha dato al resto dell’Italia, rischia di rimanere ancora più indietro di quanto già non
lo sia, e ciò, a causa di una reclamata autonomia cosiddetta differenziata. Ma “non
c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra disuguali”: scriveva don Milani in
Lettera a una professoressa. L’autonomia ci potrà stare soltanto quando tutti saranno stati
posti nelle medesime condizioni. Al contrario, il pericolo è che aumenti il divario tra le
due parti del Paese; ma “il Paese non crescerà, se non insieme”: lo affermarono già nel
1981 i vescovi italiani! No, “nessuno si salva da solo” – ce lo ha ricordato più volte papa
Francesco – o ci salveremo tutti insieme o non si salverà nessuno. Mettiamo da parte,
perciò, gli schieramenti di partito, rifuggiamo da visioni ideologiche e di parte, e
costruiamo un’Italia che sia nei fatti veramente unita.
Accanto alla mancanza di partecipazione civile, e forse anche come sua conseguenza,
vi sono diverse criticità che riguardano da vicino la nostra provincia e le nostre città;
criticità che voi, di certo, conoscete, e che domandano un rinnovato impegno di tutti e un
maggiore senso di responsabilità: penso ai poveri che aumentano, e alle famiglie che
spesso non ce la fanno ad arrivare a fine mese; penso all’aumento di fatti di violenza,
dentro e fuori casa, che sempre più vedono protagonisti anche i nostri giovani; penso,
nonostante il grosso impegno delle scuole, al preoccupante fenomeno della dispersione
scolastica; e poi alla persistente piaga della mancanza di lavoro, alla cultura, ancora
diffusa, dell’illegalità e della corruzione, al rischio ancora elevato, nei circuiti
dell’economia locale, di infiltrazioni della camorra; all’affanno del sistema sanitario
nazionale; alla questione ambientale che ci ha fatto meritare, a torto o a ragione, il triste
appellativo di “terra dei fuochi”. Ad essa, in qualche modo collegata, c’è la crisi delle
aziende zootecniche della provincia, a cui è legata la produzione della mozzarella di
bufala, una delle più importanti attività economiche del territorio: a causa
dell’abbattimento di decine di migliaia di capi di bestiame, stabilito per contenere la
diffusione della brucellosi e della Tbc, gli allevatori sono in serie difficoltà e temono il
peggio per un lavoro, duro e faticoso, che portano avanti da diverse generazioni.
C’è un altro tema che vorrei richiamare a tutti voi ed è la complessa e delicata
questione della qualità della vita a Castel Volturno e la presenza di tanti migranti che,
fuggiti dai loro paesi di origine, si sono stanziati sul litorale Domizio – 27 Km di costa, da
Pescopagano a Ischitella -; molti di quei migranti vivono in clandestinità, senza permesso
di soggiorno, e perciò senza diritti e dignità. La Chiesa, in quel luogo, da tempo cerca di
essere presente e, insieme a tante realtà associative, prova a stare accanto a chi, quando
non è accompagnato, può diventare – come tante volte è accaduto e ancora accade – facile
preda di quanti vogliono arricchirsi sfruttando la loro condizione di precarietà,
alimentando così la percezione che quella sia terra dell’illegalità e della corruzione.
Quando, invece, si riescono a sconfiggere quelle logiche perverse, s’innescano processi
virtuosi e nascono storie interessanti.
Carissimi, Capua e l’intero territorio diocesano, un tempo centro della Campania
felix, terra di santi e di gente buona, di contadini e operai onesti e laboriosi, ma pure di
eminenti giuristi e scienziati, artisti e letterati, di uomini illustri e valorosi, è, ancora oggi,
nonostante mille contraddizioni, terra ricca di risorse e opportunità. Penso qui al grande
potenziale che ancora può rappresentare il tema dell’agricoltura e, innanzitutto,
all’importante patrimonio artistico, di straordinario valore culturale, che tanto potrebbe
significare in termini di rilancio del turismo e, di conseguenza, di sviluppo economico del
territorio. Forse occorre credere di più in ciò che siamo e abbiamo, e operare facendo
maggiormente rete, provando anche a non lascarci ingabbiare dai lacci di una burocrazia
che fa rallentare ogni cosa: ne è esempio il ponte nuovo di questa città, da sei anni chiuso
per motivi di sicurezza, e per il quale ancora non c’è notizia dell’inizio dei lavori.
Carissimi, c’è però una storia bella che mi piace richiamare: quella di Mamadou
Kouassi, il giovane ivoriano ospite al suo arrivo in Italia del Centro Fernandes di Castel
Volturno e, poi, perfettamente integrato a Caserta: quella storia ha ispirato il film di
Matteo Garrone, Io Capitano, candidato all’Oscar. Lì, la nostra provincia è salutata come
approdo sicuro, possibilità di riscatto, occasione di rinascita. Diventi davvero così il
nostro territorio: casa dove c’è lavoro, e casa dove la terra, ritornata ad essere buona, si
lavori; casa di solidarietà e di rispetto dei diritti di ogni persona, casa di amicizia, di
inclusione, di fraternità: casa “fratelli tutti”!
L’augurio che faccio a tutti voi è di essere insieme, per il territorio che qui
rappresentate e servite, protagonisti di questo cambiamento.
Vorrei potermi soffermare con voi uno ad uno, ma il tempo a mia disposizione mi
impedisce di trattenermi per un incontro più ravvicinato. Spero però di poterlo fare con
ciascuno già nelle prossime settimane.
Ancora grazie! Dio vi benedica!

+ Pietro Lagnese
Arcivescovo di Capua
Vescovo di Caserta